“Ci ascoltiamo”, il progetto di Icon Collection che mette al centro le persone
Un percorso innovativo che unisce ascolto, formazione e filosofia per costruire un’ospitalità più umana e coinvolgere le nuove generazioni in modo autentico.
In un settore dove l’ospitalità si gioca sempre più sulla qualità delle relazioni umane, Icon Collection sceglie di ripensare dall’interno il proprio modello organizzativo. Nasce così “Ci Ascoltiamo”, un progetto che va oltre il concetto tradizionale di customer care, mettendo al centro il benessere delle persone che rendono possibile l’accoglienza ogni giorno: i collaboratori. Cuore dell’iniziativa è l’introduzione, insolita e visionaria, di un filosofo aziendale, figura chiamata a promuovere ascolto autentico, consapevolezza e dialogo all’interno dei team. Il progetto si fonda su pratiche quotidiane, momenti di confronto protetti e strumenti di supporto emotivo pensati per creare una cultura del lavoro più umana, inclusiva e partecipata. Abbiamo incontrato Federico Ficcanterri, CEO con il cugino Riccardo di Icon Collection, per approfondire le motivazioni, gli obiettivi e le prospettive di un progetto che punta a fare scuola nel panorama dell’hôtellerie italiana.
Come nasce concretamente l’idea del progetto “Ci ascoltiamo”?
L’idea nasce da un’esigenza personale e professionale insieme. In un momento di riflessione, sentivo il desiderio di costruire un dialogo autentico con i giovani. È lì che è emersa l’espressione: “Ti ascolto, ci ascoltiamo”. Una frase semplice, ma densa di significato, che restituisce centralità all’ascolto, dentro e fuori il mondo dell’hôtellerie.
Abbiamo compreso che parte della crisi nel nostro settore – in particolare la difficoltà nel trattenere personale qualificato e motivato – è anche responsabilità nostra. I modelli ereditati dal passato non parlano più la lingua delle nuove generazioni, che oggi cercano senso, relazioni, crescita personale. E noi, come imprenditori e formatori, dobbiamo imparare ad ascoltarli davvero. “Ci ascoltiamo” nasce come ponte tra esperienza e nuova energia. È la risposta a un sistema che oggi manca di una vera scuola pubblica dell’accoglienza, capace di formare professionisti non solo sul piano tecnico, ma anche umano. L’approccio che abbiamo scelto vuole superare gli schemi tradizionali dell’hôtellerie, per costruire un linguaggio più vicino alle persone che lo abitano.
Il coinvolgimento di un filosofo aziendale è una scelta originale: che ruolo operativo ha all’interno delle strutture e come viene percepito dal personale? È prevista una sua presenza continuativa o su appuntamento?
La presenza del filosofo è coerente con la nostra visione imprenditoriale. Crediamo che l’innovazione vada fatta quando le cose funzionano, non solo in emergenza. E questa è un’innovazione che parte dal senso profondo di ciò che facciamo. Il filosofo lavora a stretto contatto con il nostro Ufficio Umane Risorse, composto da quattro persone, con l’obiettivo di trasformarlo in un vero presidio culturale dell’organizzazione. Insieme stanno scrivendo il nuovo libro dei valori del gruppo: un lavoro collettivo che orienta l’identità etica e relazionale dell’azienda.All’inizio la sua presenza ha suscitato curiosità e un pizzico di scetticismo, ma è naturale: per molti è la prima volta che incontrano una figura simile in ambito aziendale. Il suo ruolo non è teorico né estemporaneo: è una presenza costante, due giorni a settimana, con un impatto quotidiano sui processi e sulle persone. Crediamo servano oggi più che mai pensiero critico, consapevolezza e visione. Un’azienda è una comunità, e il filosofo ci aiuta a costruire una narrazione coerente, condivisa, autentica. È un compagno di viaggio che stimola, ascolta, orienta.
Lo Sportello dell’Ascolto è uno degli strumenti centrali del progetto. Come è stato strutturato e quali sono i primi riscontri da parte dei collaboratori?
Lo “Sportello Ci Ascoltiamo” è uno spazio settimanale di ascolto autentico, creato per ridurre quelle “distanze ravvicinate” che spesso si generano negli ambienti di lavoro digitalizzati. In un’epoca di comunicazioni veloci e impersonali, volevamo restituire dignità al confronto diretto, alla condivisione reale di vissuti e fatiche. È uno spazio protetto, libero dal giudizio, ma è chiaro che nella fase iniziale l’approccio dei collaboratori resta prudente: l’ascolto richiede fiducia, e la fiducia si costruisce nel tempo. I primi riscontri sono positivi: chi ha partecipato ha riconosciuto l’iniziativa come un gesto concreto di attenzione. Ma sappiamo che dobbiamo lavorare per renderlo sempre più accessibile, conosciuto e integrato nella cultura quotidiana dell’azienda. Per noi l’ascolto non è un servizio HR, è un atto culturale.
Avete misurato o prevedete di misurare l’impatto di “Ci Ascoltiamo” su performance e qualità del servizio? Esistono KPI o indicatori per valutare il ritorno di questo investimento?
Misurare l’impatto di un progetto come “Ci Ascoltiamo” è complesso, ma necessario. Ogni anno realizziamo un’indagine di clima aziendale che ci fornisce un quadro prezioso, e i primi segnali sull’iniziativa sono già emersi.
Un dato concreto: da quando abbiamo rafforzato e valorizzato il nostro Ufficio Umane Risorse, abbiamo registrato un calo significativo del turnover. Le persone iniziano a percepire l’azienda come un luogo in cui vale la pena restare. Per lo Sportello, siamo ancora nella prima stagione del progetto. Stiamo osservando gli effetti a livello di benessere, engagement e spirito di squadra. Stiamo inoltre definendo KPI qualitativi e quantitativi per misurare il ritorno dell’investimento sia a livello organizzativo sia reputazionale. Ma soprattutto, stiamo imparando ad ascoltare anche ciò che non viene detto, ma si manifesta nei comportamenti quotidiani.
Secondo voi questo approccio può diventare un modello replicabile per altre realtà del settore? Quali sono i presupposti minimi perché possa funzionare?
Sì, credo che sia replicabile in ogni contesto in cui le persone siano centrali. A una condizione: che le persone vengano trattate come individui, non solo come risorse. Ogni vero cambiamento è prima filosofico che operativo. Serve una visione dell’essere umano, un’idea di comunità, una narrazione condivisa. Senza questo fondamento culturale, qualsiasi intervento rischia di diventare una moda passeggera. Dovremmo introdurre la filosofia già nella scuola dell’obbligo, per abituare i ragazzi a pensare in modo critico, a porsi domande, a confrontarsi con la complessità. Le aziende del futuro si costruiscono su queste basi. Un progetto come il nostro può funzionare anche altrove, se c’è il coraggio di cambiare mentalità. Senza un reale cambio di prospettiva, nessuno sportello, nessun filosofo, nessuna iniziativa potrà fare la differenza.
Parlate di un’ospitalità “più umana” che parte dall’interno: come si riflette nell’esperienza dell’ospite finale? Cosa può percepire il cliente che soggiorna oggi in una struttura Icon Collection?
Credo che l’esperienza dell’ospite cominci molto prima del check-in: nasce dallo stato d’animo di chi accoglie. Se chi lavora con noi si riconosce nei valori dell’azienda, se sente di far parte di una comunità, sarà più motivato, più sereno, più autentico.Quando parliamo di ospitalità umana intendiamo proprio questo: costruire le condizioni perché chi lavora con noi senta di avere un ruolo attivo nella qualità dell’esperienza che offriamo. Questo si traduce in un sorriso sincero, in una gentilezza spontanea, in una cura che l’ospite percepisce e apprezza. Lo vediamo nei feedback: ospiti alla loro prima esperienza che notano l’energia positiva, e clienti abituali che ci dicono chiaramente che “qualcosa è cambiato, in meglio”. I dati confermano la crescita della qualità percepita, ma più dei numeri, conta la qualità delle relazioni. La nostra Academy interna comincia a produrre risultati tangibili, e stiamo lavorando a un format formativo ancora più coinvolgente per il prossimo anno. Perché per noi, l’ospitalità non è solo un servizio: è un’identità condivisa.
Giuseppe Focone