Quando il viaggio cambia lingua: i neologismi del turismo moderno
Cinque neologismi “negativi” e cinque “positivi” mostrano come il nostro modo di viaggiare stia evolvendo tra social, sostenibilità ed emozioni.
Con l’arrivo delle vacanze invernali, tra l’adrenalina delle corse ai regali e la frenesia degli addobbi, cresce anche il desiderio di concedersi una pausa e partire verso mete lontane. Ma, insieme alla voglia di evasione, affiora anche una nuova forma d’ansia: quella di ritrovarsi circondati da altri viaggiatori in cerca della stessa libertà o, al contrario, da chi vive la vacanza in modo diametralmente opposto, talvolta persino eccessivo.
Per interpretare questo panorama in continua trasformazione, Babbel ha raccolto i neologismi più rappresentativi che descrivono emozioni, tendenze e modalità di viaggio - tanto nelle loro sfumature positive quanto in quelle più critiche.
“Le parole che usiamo per descrivere i nostri viaggi cambiano rapidamente, proprio come il modo di viaggiare. Molte nascono per dare voce a esperienze e sensazioni che il vocabolario tradizionale non riesce più a contenere. Conoscerle significa anche capire meglio come il viaggio venga vissuto in culture diverse”, spiega Gianluca Pedrotti, Principal Learning Content Creator di Babbel.
Che si tratti di neologismi italiani o di prestiti ormai diffusi a livello internazionale, queste parole rappresentano lo specchio di una società in movimento, sempre alla ricerca di nuove espressioni per raccontare il desiderio di scoperta.
I 5 neologismi “negativi” del viaggio moderno
Negli ultimi anni sono emersi con sempre maggiore evidenza i limiti del turismo di massa. Dal fenomeno “overtourism” prendono forma nuovi termini che raccontano le sfide del turismo globale, tra saturazione delle destinazioni, crescente attenzione alla sostenibilità e ricerca di esperienze sempre più “virali”.
Turismo mannaro: un neologismo tutto italiano che ironizza sui turisti che, una volta in viaggio, si trasformano in “lupi” del turismo selvaggio. Dai comportamenti irrispettosi, alle abitudini dannose fino agli eccessi che non avrebbero mai nella vita quotidiana. Divenuto virale sui social per descrivere scene di caos in città e località turistiche, oggi il termine fotografa una tipologia di turismo che invade spazi naturali o urbani fragili, sovrastando comunità locali, fauna e risorse del territorio. Il “turista mannaro” si comporta come un predatore del paesaggio, ignorando i limiti di accoglienza e mettendo a rischio l’equilibrio di ecosistemi e culture ospitanti.
TikTok tourism: l’influenza dei social media, TikTok in primis, ha rivoluzionato il modo di scegliere e vivere le destinazioni - oggi molte mete vengono scelte proprio sulla base della popolarità che hanno sulle piattaforme social. Si viaggia per scattare la foto perfetta o girare il video virale, spesso dimenticando il contesto culturale e contribuendo a creare assembramenti nei cosiddetti “punti selfie”.
Turistificazione: altro neologismo italiano, nonché la versione turistica della gentrificazione urbana: quartieri e intere città cambiano volto sotto la pressione del turismo di massa. Attività e residenti locali vengono progressivamente sostituiti da servizi pensati solo per i turisti, con ristoranti, hotel e negozi a misura di influencer. Il fenomeno è particolarmente evidente in città come Venezia e Lisbona con un impatto visibile sui prezzi, la cultura e la vita quotidiana. A Lisbona, in particolare, si sta diffondendo il termine “Lisboom” (parola ibrida composta da “Lisbona” e “boom”) che racchiude le tensioni di uno sviluppo urbano accelerato.
Turismofobia: dallo spagnolo, indica l’avversione o addirittura la paura che le comunità locali sviluppano nei confronti dei turisti, esasperate dagli effetti negativi del turismo di massa. Il fenomeno è stato osservato soprattutto in città, oggetto di forte pressione turistica, come Barcellona e Venezia.
Flygskam: dallo svedese, letteralmente “vergogna del volo”, descrive il senso di colpa legato all’impatto ambientale dei viaggi in aereo. Coniato in Svezia nel 2018, il termine ha dato vita a un movimento volto a dissuadere le persone dal volare per ridurre le emissioni di CO2 promuovendo l’uso di mezzi di trasporto più sostenibili come il treno.
I 5 neologismi “positivi” per riscoprire il viaggio
Sta prendendo sempre più piede, soprattutto tra i più giovani, una sensibilità nuova e consapevole legata all’esperienza di viaggio. Questa attenzione si riflette anche a livello linguistico, con termini che emergono nelle diverse lingue del mondo.
Fernweh: dal tedesco, significa letteralmente “nostalgia della lontananza”. È il desiderio irrefrenabile di partire, di esplorare luoghi sconosciuti e “mondi” lontani: l’opposto di “Heimweh”, la “nostalgia di casa”. In Germania è una parola di uso comune, spesso usata per descrivere quell’impulso che spinge molti a cercare nuove avventure all’estero, soprattutto dopo lunghi periodi trascorsi nello stesso posto. In questo Paese, “Fernweh” è così radicato che viene usato nelle pubblicità di compagnie aeree e agenzie di viaggio.
Resfeber: sempre dal tedesco, è una parola la cui traduzione più vicina può essere “febbre da partenza” che racchiude la sensazione mista di ansia e trepidazione che si prova poco prima di partire per un viaggio. Una curiosità: in Svezia e Germania è considerata una delle emozioni più tipiche del viaggiatore.
Solivagant: dall’inglese, indica chi ama viaggiare da solo, trovando nella solitudine non isolamento, ma libertà e apertura verso il mondo. In tempi di “tripanxiety” (“ansia da viaggio”), essere “solivagant” significa riscoprire il piacere di dialogare con culture diverse senza filtri, seguendo i propri ritmi e desideri. Il termine, di origine latina (“solus” , “solo” e “vagari”, “vagare”), è diventato popolare sui social media, in particolar modo tra chi promuove il viaggio in solitaria come esperienza di crescita personale.
Serendipity: dall’inglese, è l’arte della “scoperta fortuita”. Per il viaggiatore consapevole, la serendipità è un vero e proprio stile di viaggio in cui non si inseguono solo le mete più “instagrammabili”, ma si coltiva la capacità di lasciarsi sorprendere dall’imprevisto. Il termine nasce da una fiaba persiana, “I tre principi di Serendip”, dove i protagonisti, seguendo indizi e osservando la realtà con attenzione, si imbattono in scoperte felici e improvvise. Fu lo scrittore Horace Walpole, nel XVIII secolo, a coniare questa parola ispirandosi a questa fiaba, per descrivere proprio la capacità di fare piacevoli scoperte mentre si cerca altro.
Tagskryt: per compensare alla “vergogna del volo” (flygskam), la lingua svedese propone la possibilità di, letteralmente, “vantarsi del treno”. Il termine ha avuto origine come hashtag nel 2019, sull’onda del movimento ambientalista “Fridays for Future”, e oggi è utilizzato per condividere online le proprie esperienze di viaggio sostenibile, mostrando il proprio impegno verso il pianeta e ispirando altri a fare scelte più responsabili.