Immagine di sfondo della pagina Scoprire, comprendere, appartenere: come far innamorare le nuove generazioni di un settore che plasma società e territori
10 novembre 2025

C’è stato un momento, durante il recente World Travel Market di Londra, in cui la sala in cui si stava svolgendo il Ministers’ Summit (organizzato in partnership da UN Tourism e World Travel & Tourism Council) si è fermata. Christina Reti, fondatrice e Ceo di CDR Partners, ha posto una domanda semplice ma dirompente: “Perché il turismo non è davvero insegnato nelle scuole, come materia che forma cittadini e professionisti capaci di comprenderne il valore?”. Non come tecnica, non come manuale operativo. Come cultura, visione, coscienza del proprio impatto sulla società.

È una domanda che risuona forte anche in Italia, dove pure gli Istituti Turistici esistono da decenni. Eppure, non nascondo che nel mio ruolo di docente di marketing, mi è capitato spesso di incontrare allievi che avevano frequentato un percorso turistico senza essersi mai realmente “innamorati” di questo settore. Ragazzi e ragazze brillanti, ma che avevano imboccato strade lontane da questa industry. Oppure che erano arrivati al mio corso privi di qualsiasi immagine viva di cosa significhi ospitalità, territorio, accoglienza.
Allora sorge un dubbio scomodo: la formazione così com’è, funziona davvero? O rischia di essere un contenitore che non accende alcuna scintilla?

Il punto è che oggi il turismo ha bisogno di qualcosa in più. È un comparto strategico, complesso e che tocca il quotidiano di tutti noi. Plasmiamo città, economie, narrative, relazioni tra Paesi. Progettiamo esperienze che definiscono identità e sguardi sul mondo. Se non educhiamo testa e cuore, rischiamo di produrre professionisti tecnicamente preparati, ma incapaci di trasmettere ciò che rende il viaggio trasformativo.
La questione si fa ancora più urgente in un momento storico in cui la parola più pronunciata è intelligenza artificiale. La si teme, la si fraintende, la si usa come spauracchio o scorciatoia. Ma proprio oggi, la differenza la fa l’umano: la capacità di ascoltare, capire, interpretare, mettere in relazione le persone tra loro e con i luoghi. La competenza senza passione è fragile. La passione senza competenza è ingenua. Servono entrambe.

Dal ruolo entry level di chi lavora in reception, fino al top management che definisce la strategia di un gruppo internazionale. Perché sì, possiamo insegnare le nozioni. Possiamo aggiornare programmi, inserire moduli sul digital marketing, sull’analisi dei dati, sulla gestione dei flussi. Ma la vera sfida è stimolare la curiosità. Un’educazione alla responsabilità verso i territori, alla dignità dell’ospitalità come atto sociale.
Come scriveva Italo Calvino, “la leggerezza non è superficialità, è planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.  E il turismo ha bisogno di questa leggerezza consapevole: capacità di guardare il mondo senza prenderlo alla leggera.

Allora la domanda che oggi, come settore, dovremmo formulare è: “Come facciamo a far innamorare le nuove generazioni del turismo?”. Immaginandoci come un simpatico Cupido, quali frecce dobbiamo scoccare? Forse il nostro ruolo non è solo modellarne le competenze, bensì diffonderne il senso.
Trovare questa risposta non è un investimento su curricula o tomi da migliaia di pagine. È un investimento sul futuro che vogliamo costruire. E sul valore, profondamente naturale, di trovare un significato nel contribuire a come il mondo si muove, si incontra, si racconta.

Gaia Guarino

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