Dal target alla persona, l’evoluzione del marketing turistico: il viaggio oltre le etichette
Pacchetti e viaggi tailor-made non sono opposti ma complementari. Conta il modo in cui li raccontiamo perché il viaggiatore di oggi è fluido, ibrido, imprevedibile. Capirlo non basta: serve saperlo ascoltare.
Negli ultimi decenni, la comunicazione turistica ha mutuato dal marketing di consumo un linguaggio preciso, quasi scientifico. Si parla di target, di segmenti, di cluster, di customer journey. Tutto giusto, almeno in superficie: la necessità di ordinare, classificare, prevedere i comportamenti d’acquisto ha dato al settore strumenti fondamentali per crescere, soprattutto nel periodo in cui il turismo di massa richiedeva efficienza, chiarezza e accessibilità.
Ma il paradigma è cambiato.
Oggi il mercato non è più una piramide, ma una costellazione. E all’interno di questa costellazione convivono due logiche apparentemente opposte ma, in realtà, complementari. Da un lato il pacchetto standard, costruito per offrire sicurezza, praticità e un prezzo competitivo a chi cerca una vacanza “chiavi in mano”. Dall’altro il tailor-made, pensato per chi desidera un’esperienza esclusiva, personalizzata, irripetibile.
Il punto è che entrambe queste logiche hanno ancora un ruolo e possono convivere, se si cambia prospettiva. Il rischio non sta nella standardizzazione o nella personalizzazione in sé, ma nel modo in cui vengono interpretate. Il pacchetto standard non è sinonimo di banalità, così come il viaggio su misura non è automaticamente sinonimo di autenticità. Tutto dipende dal grado di ascolto e relazione che l’operatore riesce a instaurare con chi viaggia.
Perché il viaggiatore contemporaneo è un individuo in movimento non solo geografico, ma identitario. Può essere budget traveller in un weekend primaverile e luxury explorer a Natale; può sognare la sicurezza di un resort oggi e l’avventura di un trekking domani. È allo stesso tempo curioso e talvolta incoerente, e questa complessità è ciò che lo rende interessante. Ridurlo a una categoria – “millennial”, “famiglia con bambini”, “coppia active” – significa rinunciare a coglierne le sfumature.
Oggi il marketing turistico più avanzato non punta tanto a “segmentare”, quanto a interpretare.
Serve una lettura dinamica dei comportamenti, che unisca analisi quantitativa e osservazione qualitativa: i dati ci dicono cosa fa il cliente, ma solo l’ascolto e la relazione ci spiegano perché lo fa. In questo senso, la sfida è trasformare l’offerta turistica in una struttura aperta, capace di adattarsi in corso d’opera, senza dover scegliere tra la logica industriale del pacchetto e quella artigianale del viaggio su misura.
Il pacchetto standard può diventare un punto di partenza, non un limite.
Un contenitore flessibile, dove l’elemento “customizzabile” non è necessariamente l’itinerario, ma il modo in cui viene raccontato, vissuto, percepito. Allo stesso modo, il taglio sartoriale può trarre forza dall’efficienza e dalla chiarezza organizzativa di un’offerta strutturata. Non è un aut aut, ma un sistema osmotico in cui le due dimensioni si contaminano.
In fondo, il turismo più evoluto è quello che abbandona la logica del target da conquistare per adottare quella del partner da coinvolgere.
Il viaggiatore non va “profilato”: va compreso, stimolato, accompagnato in un’esperienza che si costruisce insieme.
E forse, il futuro della travel industry sarà proprio questo: non un marketing che cerca di indovinare chi siamo, ma uno che ci invita a scoprire chi potremmo diventare, ogni volta che scegliamo di partire. Perché come ha detto Seth Godin – scrittore e imprenditore statunitense, oltre che esperto di marketing – “Il marketing non riguarda più ciò che produci, ma le storie che sai raccontare”.
Gaia Guarino