Il viaggio siamo noi: perché il turismo è diventato un comportamento umano
Il turismo non è più un settore: è un comportamento umano. Le persone non cercano luoghi, ma passioni, identità ed emozioni. Il trade deve accompagnare, non vendere.
C’è un momento, nella storia di ogni settore, in cui qualcosa smette di appartenere all’economia e inizia ad appartenere alle persone. Nel turismo questo passaggio è avvenuto in silenzio, quasi senza che ce ne accorgessimo. Per anni lo abbiamo trattato come un comparto: fatto di camere, tariffe, allotment, cataloghi, voli. Poi qualcosa si è incrinato, o forse si è rivelato. Oggi il turismo non è più un settore: è un comportamento umano, una lente attraverso cui leggiamo il mondo e, soprattutto, noi stessi.
Si vede dalle destinazioni che emergono: non è solo questione di tendenze, ma di attrazioni emotive. Non scegliamo più i luoghi esclusivamente per la loro fama, bensì per ciò che risvegliano in noi. Per questo fioriscono città e comunità che un tempo erano considerate periferiche o addirittura marginali: l’esplosione dei piccoli centri del Nord Europa, la rinascita di borghi italiani prima ignorati, isole remote che diventano improvvisamente oggetto di desiderio. Non sono “nuovi posti”, sono nuove passioni. Non li cerchiamo per la fotografia perfetta, ma perché ci permettono di “abitare” il viaggio in modo diverso, più intimo, più nostro. Non vogliamo sapere com’è un luogo: vogliamo scoprire chi diventiamo quando ci siamo dentro.
La pandemia ha fatto il resto, o forse ha squarciato il velo. Ha trasformato il viaggio in una forza psicologica, una leva di riparazione. Da allora viaggiamo come se dovessimo recuperare tempo perduto, riappropriarci della parte di vita che avevamo messo in pausa. E così ogni partenza – in questi ultimi anni – è diventata balsamo, tregua, tentativo di rimettere ordine. C’è chi cerca spazi dove ritrovare la pace, chi si spinge verso mete estreme per sentirsi vivo, chi sceglie luoghi lenti per riformulare la propria identità. Il viaggio è diventato specchio, confessionale, rito di passaggio. E poi c’è la politica, che entra nei movimenti turistici in modo sottile ma innegabile. Non serve essere ideologici: basta guardare i flussi. Alcune destinazioni vengono premiate o penalizzate dalle scelte dei propri governi, indipendentemente dalla loro offerta reale. Accade oggi negli USA nella seconda era Trump: una lieve flessione, un cambio di percezione, non sufficiente a scalfire il primato della destinazione, ma abbastanza per dimostrare quanto il "sentiment politico" possa infiltrarsi nelle decisioni di viaggio. Lo stesso effetto si vede altrove: un clima internazionale teso può rallentare prenotazioni che, in condizioni neutre, avrebbero prosperato. La geopolitica pesa tanto quanto il meteo, e il viaggiatore contemporaneo, consapevole e informato, lo sa.
Questa trasformazione mette tutti noi (professionisti del settore, narratori, intermediari) davanti a una domanda inevitabile: come si racconta il viaggio quando il viaggio è diventato così profondamente umano? E, soprattutto, cosa devono fare agenzie e tour operator in un panorama in cui il “dove” importa meno del “perché”? La risposta, forse, è tornare all’essenziale: ascoltare, osservare, accogliere. Non il mercato, ma le persone. Non le tendenze, ma le emozioni che le generano. Capire che chi entra in un’agenzia non cerca una destinazione: cerca un pezzo di sé. E che la vera personalizzazione non è la scelta dell’hotel, ma la capacità di intuire il bisogno che muove una richiesta: fuga, rinascita, esplorazione, appartenenza.
Il trade ha un ruolo meno tecnico e più umano. Deve guidare, interpretare, decifrare. Fornire informazioni chiare senza edulcorare le complessità geopolitiche, offrire esperienze senza feticizzare lo storytelling, proporre tour che non riempiano solo un itinerario ma che aprano possibilità. Perché se il turismo è diventato comportamento umano, allora chi lavora nel turismo non vende più “prodotti”: accompagna trasformazioni. E forse è proprio in questa consapevolezza – fragile, imperfetta, ma reale – che sorge una nuova alba del nostro settore.
Gaia Guarino