Oltre i cliché, per scoprire la vera essenza degli Stati Uniti. Mazzoni: “È nei dettagli che si custodisce la memoria di un viaggio”
Olga Mazzoni racconta l’America oltre i cliché: destinazioni valoriali, narrazioni autentiche e nuove sfide per trade e viaggiatori italiani.
Superare i cliché, scoprire l’anima delle destinazioni, restituire profondità ai luoghi: Olga Mazzoni ha fatto della narrazione valoriale degli Stati Uniti la sua missione.
Presidente e Direttore Marketing & PR di Thema Nuovi Mondi, società che rappresenta realtà come MeetBoston, Discover New England, Visit Denver, Idaho, North Dakota, South Dakota, Explore Minnesota, Minneapolis St. Paul Bloomington, Salt Lake City e Wyoming, Olga ci accompagna in un viaggio che va oltre le rotte battute, alla scoperta di un’America fatta di storie, comunità locali, sostenibilità e autenticità. Un’intervista che si è mutata in un dialogo lucido e appassionato su come evolve la comunicazione turistica e su quanto oggi sia fondamentale saper costruire una vera relazione tra luoghi, professionisti del travel e viaggiatori.
D: Negli ultimi anni, come si è evoluta la narrazione delle destinazioni statunitensi nel mercato italiano? Si va oltre l’icona e l'immagine social per costruire un racconto valoriale, magari legato a territori meno noti?
R: Sul mercato italiano c’è ancora un profondo lavoro da fare. Noi ci occupiamo di mete che almeno in parte deviano da quello che è il turismo di massa e che non sono così popolari tra i viaggiatori del nostro Paese. Aggiungerei che alcune neppure appartengono all’immaginario collettivo degli italiani, e per questo – a maggior ragione – occorre dare un senso ai luoghi che non sia soltanto geografico, che vada oltre i cliché, i post social e le foto instragrammabili.
D: Quando si parla di destinazioni, spesso si fa riferimento solo agli aspetti turistici. Ma quanto contano oggi i valori “intangibili” come il tessuto sociale, la sostenibilità, l’economia locale, la cultura inclusiva?
R: Non è possibile continuare a fare promozione di destinazioni di lungo raggio senza toccare aspetti caratterizzanti come il tessuto sociale ed economico. Sono tasselli importantissimi, chiaramente in aggiunta alla storia. Se non siamo in grado di disegnare una ‘carta d’identità’ dei luoghi, come possiamo promuoverli correttamente? Sono forse tutti uguali? Ovviamente no. Talvolta mi capita di vedere video di mete statunitensi dove tool come ‘mangiare’, ‘bere’, ‘musica’, ‘street art’ e così via sono sempre identici.
Personalmente, mi spendo per fare ricerca per i miei clienti in quanto non è infrequente che siamo noi a trovare argomentazioni accattivanti per il mercato italiano. E devo dire che loro si approcciano con curiosità, sono aperti a conoscere ciò che può effettivamente sensibilizzare il pubblico. Bisogna andare oltre il classico, e i contenuti che proponiamo devono diventare nutrimento per chi fa il prodotto – agenti di viaggio e tour operator, i quali hanno il compito di narrare la destinazione al cliente finale in modo tale che quest’ultimo riesca a cogliere i dettagli che ne determinano l’unicità.
D: C'è apertura, da parte del trade italiano, verso narrazioni più complesse e meno convenzionali delle destinazioni USA? I buyer sono pronti ad andare oltre gli itinerari classici?
R: La speranza è che gli itinerari cambino, si elevino. Se visitiamo i siti web o sfogliamo i cataloghi, il prodotto è molto standard e poco diversificato. Manca qualcosa di originale. Anche la Boston che vedo non riesce a ‘fuggire’ dalla Rivoluzione Americana! Eppure, abbiamo davanti una città di giovani con un correlato di attività che spaziano dallo sport all’arte, dal cibo all’intrattenimento. Con il nostro lavoro, tentiamo di far comprendere quali siano i valori di una destinazione perché è essenziale essere capaci di declinare una ‘scala valoriale’, in quanto anche questo guida la scelta di un viaggiatore. Se il luogo non esercita in me un sentimento di empatia, non vado. Mi riferisco a valori anche contemporanei, non solo del passato: la sicurezza, per esempio. Ma pure la pulizia, la gestione urbana, l’inclusività.
D: In che modo la combinazione di elementi economici, culturali, ambientali e sociali può aiutare a costruire una narrazione più autentica e coinvolgente di una destinazione USA? Hai un esempio concreto?
R: È il secondo anno che lavoriamo con il Minnesota, uno Stato quasi sconosciuto agli italiani e pertanto una bella sfida. Siamo partiti dal valore storico del luogo, raccontando di un italiano che ha scoperto le sorgenti del Mississippi River. Questo è stato lo spunto per narrare questo territorio, e poi ancora abbiamo approfondito la zona a livello geografico dando rilevanza alla sua configurazione estremamente naturalistica con migliaia di laghi, foreste e inverni rigidi. Parliamo, inoltre, degli indiani nativi d’America perché reputiamo sia un argomento che non tocchi soltanto il turismo culturale ma che sia una realtà che non può essere dimenticata.
D: Alla luce di quanto detto, che funzione ha – e può avere – un Ente del Turismo di una destinazione USA in Italia? Promozione, relazioni, formazione: quali priorità, con quali risorse e con quale approccio comunicativo?
R: Serve, in primis costruire una relazione con i luoghi, farli crescere e passare questi strumenti di comprensione ai tour operator, alle agenzie di viaggio e ai viaggiatori. In questa maniera si fanno scelte di viaggio più consapevoli e mature, più ricche di stimoli. Si capirebbe anche come funzionano gli Stati Uniti: ogni Stato e ogni territorio con le sue diversità. E se questo è cruciale, ça va sans dire, per un visitatore che forzatamente sperimenterà un’esperienza differente a seconda dell’angolo di USA in cui si recherà, lo è ancora di più per un tour operator o un’agenzia di viaggio che necessita di questi dettagli per organizzare un itinerario che abbia una logica. Uno dei problemi che riscontro è il fatto che spesso non si sappia declinare un viaggio in base al territorio: i tempi devono essere ponderati. Mi riferisco ai tempi per assimilare e familiarizzare con i luoghi. I ‘fatidici’ 10 giorni non saranno mai densi in egual modo se vado, per esempio, nel New England o sulle Montagne Rocciose…
D: Quanto conta oggi per una destinazione statunitense lavorare sulla propria identità percettiva nei diversi segmenti turistici? Quali strumenti aiutano davvero a comunicarla?
R: Serve fare in modo che si evolva la presentazione di un prodotto o di un itinerario. Esistono stili di viaggio che non etichettiamo necessariamente come ‘lusso’, ‘cultura’, ‘avventura’ o ‘sport’: sono, piuttosto, contenuti che fanno parte della destinazione e il viaggiatore deciderà quanto tempo dedicare a ciò che realmente gli interessa. Dobbiamo dare dei motivi a chi desidera partire, gli eventi sono un’evidenza di ciò. Soprattutto se si tratta di eventi legati alla cultura dei luoghi, quelli dove si possono conoscere le persone locali e creare uno scambio, una comunicazione. Senza questo, un viaggio resta ‘passivo’, manca l’incontro tra le persone. Sono questi i particolari che possono arricchirci e siglare un ricordo che rimane per sempre, è il potere dell’umanità. Un incontro può dare la svolta al viaggio. Qualcosa che si aggiunge, di non pianificato e che diventa una sorpresa.
D: Che tipo di relazione si è costruita nel tempo tra destinazioni USA e trade italiano? È un rapporto maturo, che evolve, o c’è ancora margine per una maggiore comprensione reciproca?
R: Anche quest’anno ho partecipato a degli eventi con i tour operator sulle mete che noi rappresentiamo. Ho chiesto agli operatori di consentire sia a me e sia a chi nel t.o. si occupa del prodotto di narrare storie sulle destinazioni abbinandole a delle immagini. Ho notato che da parte delle adv o del consumer – abbiamo organizzato anche degli eventi con piccoli gruppi di viaggiatori – c’è un interesse concreto a scavalcare i cliché, a capire di più e impossessarsi di un tipo di informazione che non si trova su una guida stampata, sui social o su YouTube. La qualità del racconto fa molta differenza! Basti pensare al cibo: l’America non è solo hamburger e hot dog. C’è un’evoluzione della ristorazione, per esempio. Così come un’ascesa dei distillati e dei cocktail grazie a nuove imprese gestite da giovani che abbracciano, al contempo, la sostenibilità.
D: Ultima curiosità: secondo te, quale sarà il prossimo grande trend narrativo legato agli Stati Uniti nel mercato italiano?
R: Gli Stati Uniti non sono fatti esclusivamente di grandi città. Sarebbe sufficiente leggere alcuni romanzi per rendersene conto, uno qualunque di quelli che portano verso la provincia. È questa l’America genuina. Andare nei villaggi, fare delle tappe – anche per una passeggiata – nella tradizionale Main Street. Lì afferri qual è il ritmo degli USA: e poi si evitano i centri affollati, ci si può estraniare dal caos e allontanarsi da posti indubbiamente più costosi, talvolta meno sicuri. I patrimoni autentici del Paese appartengono alle piccole comunità. In ultimo, un altro trend che sto individuando è quello dei viaggi in treno. Il viaggio lento e sostenibile che elimina il problema del noleggio auto. È uno spostamento green con il quale assapori meglio i luoghi e il piacere del viaggio stesso. Negli States ci sono rotte ferroviarie largamente distribuite su tutto il territorio, e poi sui vagoni c’è l’opportunità di conoscere tante persone, gli americani sono curiosi e socievoli. E a chi teme la barriera linguistica ricordo che si può dialogare anche con i gesti, con le espressioni e con gli sguardi! È una tendenza da coltivare, insomma. Sono viaggi che bisogna saper costruire, bisogna affidarsi a dei veri professionisti così da ottenere un viaggio di successo. Viaggiare costa, oggi più che in passato, e non bisogna sprecare queste occasioni. Serve dargli valore e sostanza affinché rimanga come esperienza di vita.
Gaia Guarino