L’Ente Bilaterale Turismo del Lazio e SOCIOMETR1CA hanno presentato il 1° Rapporto “IL SOMMERSO RICETTIVO A ROMA”. Le oltre 13mln di presenze fantasma nella capitale hanno spinto l’Assessore al Turismo di Roma Capitale Carlo Cafarotti a definire il 2020 come l’anno in cui si normerà e si governerà questo fenomeno.
“Tutti i numeri sono stime, ma appare chiaro che la situazione non è più sostenibile – dichiara il presidente EBTL Tommaso Tanzilli – la scientificità di questa analisi è data dal fatto che si tratta del primo studio che ha intervistato 1.000 visitatori di Roma. Dato particolarmente rilevante è che soltanto l’1% di essi ha scelto strutture ricettive alternative per condivisione dello stile di vita del proprietario, (ormai quasi non più residente nella struttura affittata), mentre la nascita di questo fenomeno era legata proprio alla sharing economy, oggi un concetto molto lontano dagli affitti brevi”.
Tre in breve sono le particolarità che contraddistinguono questo studio: oltre al già citato campione di 1000 turisti intervistati, rilevante il capitolo sui riflessi dello studio sulla cittadinanza, che analizzano quanto di negativo arriva dal fenomeno del turismo sommerso al cittadino e all’amministrazione, che di conseguenza non è più in grado di organizzare il trasporto pubblico in mancanza del numero esatto di turisti. Ultimo punto analizzato per la prima volta da uno studio di genere è l’ammontare di quanta occupazione regolare potrebbe emergere senza il sommerso.
“Abbiamo diviso l’analisi in cinque capitoli – spiega il direttore di Sociometrica Antonio Preiti – analizzando nel primo capitolo dov’è l’offerta, nel secondo quant’è il sommerso turistico e stimando l’entità del fenomeno, nel terzo cosa succede sul mercato immobiliare, nel quarto gli aspetti di legalità e nel quinto cosa succede nel mondo”. Nell’analisi si fa riferimento a studi su New York e Barcellona, altre grandi protagoniste del turismo sommerso, di cui Roma è il secondo mercato mondiale, anche grazie all’impennata dell’andamento dell’offerta del +46% registrata dal settembre 2016 al settembre 2019. Roma infatti ha quasi 30mila unità abitative dedicate agli affitti brevi: 28.977 è il totale dell’offerta considerato sul totale degli annunci di proprietà che si trovano sul Comune di Roma; da queste si escludono quante negli ultimi 12 mesi non hanno affittato neppure un giorno e si arriva a 21.475 di offerta effettiva. “L’offerta si divide in intera casa (64%), camera privata (35%) e camera condivisa, modalità secondo la quale il turista dorme nell’appartamento dell’host, che costituisce soltanto lo 0,8% del totale – dichiara Antonio Preiti, autore dell’analisi insieme a Benedetta Marino. Interessante notare che la distribuzione dell’offerta è governata dal I Municipio, in cui si concentrano la metà di unità abitative: “In generale il 68% di esse è dentro le mura, per cui il fenomeno non contribuisce in alcun modo alla delocalizzazione turistica – continua Preiti. L’analisi passa dunque a stimarne la capacità produttiva, calcolando dall’offerta effettiva di 21.745 (perché appunto si escludono quanti negli ultimi 12 mesi non hanno affittato neppure un giorno), una capacità di posti letto teorica o massima di 100.932 su una media di 4,7 posti letto per abitazione e una capacità totale effettiva di 77.310, data la media dei posti letto effettivamente occupati che è di 3,6. Ecco dunque la stima dei posti letto effettivamente venduti dal sommerso ricettivo di 66.486, ottenuta dal totale precedente, ridotto secondo il tasso d’occupazione per la stagionalità. “Il 44,1% delle tipologie delle unità abitative fra quelle presenti sulle piattaforme digitali è classificata, mentre il 55,9% non classificata – prosegue il direttore – con il termine classificata si intende che la tipologia è presente fra le 10 indicate ufficialmente come offerte extra-alberghiere: in questa parte sono comprese anche le strutture alberghiere in senso proprio”. Secondo la legge regionale infatti le categorie d’offerta di ospitalità extra-aberghiera devono rientrare in questa classificazione: Guest house/affittacamere; Ostelli per la gioventù; Hostels o Ostelli; Case per vacanze; Case per ferie; Bed & Breakfast; Country house; Rifugi montani; Rifugi escursionistici; Case del camminatore. Gli ALLOGGI PER USO TURISTICO sono per definizione di legge unità abitative immobiliari (che non hanno bisogno di cambiare la loro destinazione d’uso e non soggette a classificazioni) nei quali è possibile offrire ospitalità a turisti (per un massimo di due appartamenti nello stesso comune) in “modo occasionale, non organizzato e non imprenditoriale forme di ospitalità senza prestazione di servizi accessori o turistici ulteriori rispetto a quanto già in uso nell’abitazione. Potendo dunque definire come ‘sommerso’ il 55,9% di unità abitative si stimano 5.803.532 arrivi non ufficiali a Roma e 13.565.471 presenze; dati questi superiori agli arrivi e presenze nelle tipologie di extra-alberghiere (ufficiali): rispettivamente 3.273.171 e 8.745.479. Contando anche i 15.358.641 arrivi e le 34.805.462 presenze negli hotel (ufficiali) il totale ufficiale degli arrivi è 18.631.812 e delle presenze 43.550.941. Unendo il totale (ufficiale + non ufficiale) si ottengono 24.453.344 arrivi e 57.116.412 presenze: si stima dunque in definitiva che il totale non ufficiale incida del 31,1% sull’ufficiale (Fonte: Sociometrica, 2020).
“Analizzando l’incidere della situazione sul mercato immobiliare – continua Antonio Preiti – si osserva un totale spiazzamento delle famiglie, che letteralmente subiscono un affitto medio familiare a Roma di 870 euro. I rendimenti mensili stimati che vanno ad influenzare negativamente il prezzo degli affitti sono molto alti: di 3000€ per un’intera casa, di 1300€ per una camera privata e di 230€ per una camera condivisa”.
L’indagine demoscopica ha invece aiutato nella delineazione degli aspetti legali per il ricettivo sommerso, date le risposte relative a quanti soggiornano in strutture non alberghiere: si stima che l’88% richieda l’esibizione del documento d’identità, solo il 35% la compilazione della scheda di informazioni, mentre l’85% anche il pagamento della tassa di soggiorno, quantomeno secondo le risposte positive degli intervistati.
Rilevante registrare le modalità di comportamento e contrasto al fenomeno negli altri paesi: “Se ne ricava un “catalogo” di decisioni, di norme e di leggi che le autorità pubbliche hanno adottato nelle varie città per contenere il fenomeno e frenare (se non cancellare) i suoi effetti negativi – dichiara Preiti – sono soluzioni che anche Roma potrebbe adottare per contenere il fenomeno. Particolarmente interessante il caso di Tokyo”. Tra le varie tipologie di limite imposti all’offerta di affitti brevi nelle città, riportate da Sociometrica in una tavola sinottica, la capitale nipponica limita il numero di giorni, limita l’ampiezza dell’appartamento, rispetta il limite delle regole standard degli immobili e rispetta il limite della licenza/obbligo numero identificativo, adottato da tutte le città prese in esame. “Interessante anche Berlino, che vieta l’affitto in alcune zone della città – prosegue – oltre a rispettare il limite della presenza dell’host e quello dell’ampiezza dell’appartamento”. Vengono analizzate anche New York, Barcellona e San Francisco, dove il problema è molto grande e le famiglie non riescono più a vivere nel centro della città, né in affitto né comprando casa. La grande mela ad esempio pone anche un limite al numero degli appartamenti e un limite delle regole di quartiere, mentre Barcellona è l’unica a porre un limite territoriale.
In conclusione dal rapporto emergono 4 problemi principali dati dal ricettivo sommerso: la sua enorme crescita, la grande concentrazione immobiliare, la sovrapposizione con le strutture alberghiere e l’emergenza per le famiglie. “Teoricamente questo segmento d’offerta ricettiva potrebbe avere tuttavia una sua complementarietà all’offerta alberghiera, cioè allargare le possibilità di valorizzare l’ospitalità romana anche a chi preferisce modalità diverse da quelle alberghiere (perché soggiorna per un numero maggiore di giorni; perché ha bisogno di spazi più ampi; perché costituisce un nucleo di vacanza “allargato) – conclude il direttore Antonio Preiti – ma avrebbe bisogno di un quadro giuridico e di modello di business molto diverso”.